Il punto sugli strumenti per una diagnosi precoce, ma attenzione puntata anche sugli stili di vita. Importante coltivare interessi e tenere in esercizio l'intelletto.
Quasi 50 milioni di persone sono affette da Demenza nel mondo e le proiezioni dell'Alzheimer’s Disease International (ADI), la Federazione mondiale che raccoglie le Associazioni che si occupano della Malattia di Alzheimer, parlano di un'esplosione a 131 milioni di casi nel 2050. In Italia 600.000 persone sono affette in particolare da Malattia di Alzheimer, secondo i risultati elaborati nel 2016 dal Censis insieme ad Aima, l'Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, e al di là dei numeri c'è l'impatto sociale di una patologia che riduce progressivamente l'autonomia delle persone e trascina le famiglie nella gestione di un lungo e difficile decorso della malattia.
In più c'è il fatto che un primato positivo del nostro Paese, quello di vantare la popolazione più longeva d'Europa, si trasforma in un fattore di vulnerabilità per quanto riguarda questa malattia che colpisce in particolare gli ultrasessantenni con iniziali difficoltà di memoria, sviluppa demenza e prosegue in un generale processo neurodegenerativo.
Da qui l'importanza della Giornata Mondiale Alzheimer, istituita nel 1994 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e che si celebra ogni anno il 21 settembre. Ad oltre un secolo dalla prima individuazione della malattia per opera del neurologo tedesco Alois Alzheimer, le scienze biomediche non sono ancora riuscite ad avere ragione di questa patologia. La ricerca comunque avanza e ad essa sono legate progressi e speranze.
Come sempre, quando ancora manca una cura risolutiva, tanto più importante risulta la possibilità di una diagnosi precoce che permetta d'intervenire tempestivamente con trattamenti capaci di contenere il progresso della patologia. Ma quali sono gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione a tale scopo?
“Alcune variazioni, in particolare della memoria - spiega il Prof. Carlo Caltagirone, Direttore Scientifico della Fondazione Santa Lucia - possono indirizzare lo specialista verso approfondimenti come la PET o la rachicentesi per lo studio dei marcatori liquorali. Quest’ultima è una procedura oggi semplice e indolore che può essere eseguita senza ricovero. Lo studio della concentrazione delle proteine ABeta42, Tau, e Tau-fosforilata nel liquor cerebrospinale fornisce informazioni importanti sulla presenza della Malattia di Alzheimer in pazienti con lieve decadimento cognitivo e in soggetti sani ad alto rischio, e sembra che riesca a predire anche il grado di decadimento cognitivo nel tempo dei pazienti con Alzheimer lieve”.
Proprio nell'ambito della diagnostica per immagini sono a disposizione oggi novità importanti: “In generale – chiarisce il Prof. Caltagirone – le nuove metodiche, che includono anche la TAC a emissione di positroni, consentono di studiare in vivo il cervello di chi lamenta problemi cognitivi. Gli esiti, uniti ai risultati degli strumenti diagnostici tradizionali, consentono ai neurologi la formulazione di un piano terapeutico più appropriato”.
C'è poi la valutazione neuropsicologica, che interessa in particolare le fasi iniziali della demenza: "Attraverso test utili a misurare l’efficienza di funzioni cognitive come attenzione, memoria, concentrazione - prosegue il Direttore Scientifico della Fondazione - possiamo avere indicatori quantitativi e qualitativi di compromissione neuropsicologica che permettono di mettere in relazione, nelle fasi iniziali della demenza, la lesione di specifiche reti neuronali con specifici schemi di compromissione cognitiva. Individuare tempestivamente queste relazioni può rivelarsi cruciale”.
Ma la scienza ci mette in guardia anche su altri fronti. Gli occhi dei ricercatori sono infatti puntati sullo stile di vita: alimentazione, diabete, dislipidemia, fumo, alcol e obesità, specie se giovanile, sono additati come moltiplicatori del rischio di sviluppare la malattia, mentre tra i fattori protettivi sono annoverati esercizio fisico, ma non solo. Giocano un ruolo importante anche il livello di scolarizzazione e la volontà del soggetto di mantenere vivi interessi e attività che stimolano la mente. Secondo ipotesi di ricerca sempre più accreditate, infatti, l'esercizio intelellettivo supporterebbe la costruzione di un fattore protettivo detto "riserva cognitiva", ovvero un magazzino di potenzialità neurali che si costruisce durante tutto il corso della vita e che rende il cervello più resistente ai danni neurologici.
Proprio negli ambiti dell'osservazione neurofisiologica della malattia di Alzheimer attraverso strumenti di diagnostica per immagini e nello studio delle potenzialità protettive della riserva cognitiva si concentranto alcuni importanti progetti di ricerca della Fondazione Santa Lucia IRCCS. Patologie neurodegnerative come Alzheimer, Parkinson e Sclerosi Multipla, accanto allo studio delle problematiche neuroriabilitative di pazienti con ictus, coma e gravi cerebrolesioni trattate presso l'Ospedale della Fondazione, sono infatti il campo di azione degli oltre duecento ricercatori impiegati presso i laboratori della Fondazione, che il prossimo 4 ottobre festeggia il XXV Anniversario del proprio riconoscimento di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS).