Confermato il ruolo della dopamina tra le cause della Malattia di Alzheimer

Individuata in pazienti affetti dalla malattia la relazione tra i deficit di comportamento tipici dell’Alzheimer e le reti neurali alimentate da un’area profonda del cervello preposta alla produzione di dopamina. Dopo le ricerche su modelli sperimentali, lo studio sull’uomo rafforza ora nuove ipotesi terapeutiche.

La dopamina, un neurotrasmettitore che è da sempre al centro dei trattamenti farmacologici di pazienti affetti da malattia di Parkinson, potrebbe rivelarsi efficace anche per contrastare i deficit cognitivi e di comportamento provocati dalla malattia di Alzheimer.

Questa ipotesi terapeutica trova conferma da uno studio condotto dai ricercatori della Fondazione Santa Lucia IRCCS in collaborazione con l’Università Campus Bio-Medico di Roma su 170 soggetti, in parte affetti da Malattia di Alzheimer conclamata e in parte in fase preclinica di demenza. Un risultato che conferma sul paziente le conclusioni di un precedente studio realizzato nel 2017 su modelli sperimentali dallo stesso gruppo di ricercatori. Si rafforza così l’ipotesi di trattare i pazienti affetti da malattia di Alzheimer con farmaci che consentano di modulare correttamente l’attività dei circuiti dopaminergici rispetto alle cure farmacologiche finora principalmente concentrate sui circuiti colinergici. Una novità di paradigma che va considerata con prudenza, ma che si fa progressivamente largo in ambito scientifico e offre nuova energia alla ricerca sulla malattia di Alzheimer dopo le battute d’arresto temute con il ritiro di importanti case farmaceutiche dai programmi di ricerca su questa malattia, che interessa solo in Italia 600 mila persone e ne coinvolge un numero molto superiore se si considerano anche i soggetti affetti da demenza preclinica.

“Abbiamo osservato struttura, dimensioni e funzioni del cervello dei pazienti attraverso immagini ad alta risoluzione ottenute con risonanza magnetica funzionale e strutturale a tre tesla – spiega Laura Serra, Ricercatrice del Laboratorio di Neuroimmagini dell’Irccs Santa Lucia – e abbiamo constatato che la progressiva degenerazione di alcuni circuiti dopaminergici concentrati soprattutto nella parte centrale e profonda del cervello è direttamente collegata con i deficit di comportamento che manifestano questi pazienti”.

Agitazione, irritabilità e disinibizione, forte insonnia e disturbi dell’alimentazione sono i deficit di comportamento sui quali si sono concentrati i ricercatori. Deficit di grave impatto sulla vita non solo del paziente, ma anche dei famigliari e dei caregiver chiamati ad accudirlo. “La rete neurale che abbiamo studiato è il default mode network– spiega Marco Bozzali, Coordinatore del progetto di ricerca – e già sappiamo che questa rete è fortemente collegata con l’ippocampo e con funzioni cognitive come la memoria. Come in un puzzle che progressivamente prende forma stiamo quindi individuando aree e circuiti del nostro cervello che alla prova dei fatti ci confermano essere collegati alle manifestazioni tipiche della malattia”.

L’origine della degenerazione di questi circuiti risiede probabilmente nella disconnessione di neuroni a proiezione diffusa che sono localizzati in una regione profonda e molto piccola del nostro cervello nota come area tegmentale ventrale, detta anche VTA. È questa minuscola area, composta da solo 600.000 neuroni in un cervello che ne conta in tutto cento miliardi, che si concentra gran parte della produzione di dopamina. È merito di un precedente studio concluso nel 2017 e coordinato dal Professor Marcello D’Amelio, Responsabile del Laboratorio di Neuroscienze Molecolari dell’IRCCS Santa Lucia e associato di Neurofisiologia all’Università Campus Bio-Medico di Roma, aver acceso i riflettori sulla VTA in relazione alla malattia di Alzheimer. “Siamo riusciti a dimostrare che la perdita di funzione dei circuiti dopaminergici – spiega il Professor D’Amelio – è preceduta dalla morte progressiva della VTA, che ha anche un ruolo importante sia per la memoria che nel controllo dell’umore e di altre funzioni non cognitive che spesso risultano deteriorate nelle prime fasi di malattia. Sulla base dei risultati ottenuti con lo studio possiamo dire che la stessa perdita di funzione dell’ippocampo, altra area da sempre sotto osservazione quando si parla di malattia di Alzheimer, può essere una conseguenza della precoce degenerazione della VTA. Questo nuovo studio sul paziente ci conferma nella convinzione che la VTA giochi un ruolo importante nella ricerca delle cause della Malattia di Alzheimer e apre a nuovi studi farmacologici mirati a proteggere la stessa VTA”.