Intervista a Nicola Mercuri: “Per sconfiggere le patologie neurologiche fondamentale la ricerca clinica e preclinica. Per curarle serve una maggiore integrazione della rete sanitaria”
Ictus, sclerosi multipla, Parkinson. Sono le patologie al centro del Convegno Satellite SIN-SNO Lazio in programma venerdì prossimo, 26 ottobre, alla Fondazione Santa Lucia IRCCS, e che anticiperà l’apertura del XLIX Congresso della Società Italiana di Neurologia in programma a Roma dal 27 al 30 ottobre. “Parliamo di patologie importanti, non solo perché sono fortemente invalidanti, ma anche perché fanno registrare un’alta incidenza tra le persone – spiega il Prof. Nicola Mercuri, Responsabile della Linea di Ricerca in Neuroscienze Sperimentali della Fondazione Santa Lucia IRCCS e Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Tor Vergata.
Qual è lo stato dell’arte e in che direzione sta andando la neurologia sul fronte delle cure?
Prendiamo l’ictus cerebrale. Sappiamo quanto l’invecchiamento della popolazione concorra alla diffusione della malattia e come gli stili di vita e i disturbi cardiaci e carotidei rendano vulnerabili anche soggetti più giovani. Tutti fattori che rendono l’ictus la prima causa di disabilità al mondo. Un tema cruciale non solo sotto il profilo medico, ma anche dal punto di vista socio-economico. Anche la sclerosi multipla è una patologia ad alto impatto sociale. Oggi sono disponibili nuovi approcci farmacologici e terapeutici, ma il suo decorso, sia essa in forma remittente o progressiva, pone i pazienti in una condizione di grande fragilità. Parkinson e parkinsonismi rappresentano dopo la malattia di Alzheimer la seconda patologia neurodegenerativa più diffusa, con uno sviluppo molto prolungato nel tempo. Rispetto al passato, approcci terapeutici alla sintomatologia combinati con adeguate tecniche neuroriabilitative consentono ai pazienti di vivere più a lungo e in condizioni migliori. Per tutte queste patologie, in generale, l’integrazione tra terapie farmacologiche avanzate e neuroriabilitazione, anche supportata da tecnologie robotiche, è determinante per migliorare l’efficacia dei trattamenti.
E dal punto di vista della ricerca?
Dobbiamo avere chiaro che l’osservazione clinica dei pazienti non è sufficiente a fornire terapie adeguate. Servono approcci che consentano di comprendere come insorge e si sviluppa la malattia, per poter incidere sul suo andamento o sulla sua prevenzione. Dobbiamo essere in grado non solo di prestare cure, ma di andare anche oltre il paziente. Se il nostro approccio clinico non è supportato da un costante e accurato lavoro di ricerca, non saremo mai capaci d’incidere sulla diffusione e il decorso di queste patologie. La ricerca clinica e pre-clinica giocano in questo un ruolo fondamentale, soprattutto rispetto a malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson, in cui la sfida scientifica è ancora tutta aperta.
Lei modererà in particolare una sessione del Convegno dedicata a Parkinson e Parkinsonismi.
Su questo fronte credo che ci sia innanzitutto la necessità di condividere, in neurologia, una maggiore definizione del quadro patologico che colpisce gli individui. Spesso vengono fatti rientrare nello spettro di questa malattia disturbi che presentano similitudini, ma non sono realmente riconducibili ad essa. Altri elementi emergeranno dal confronto sul tema delle tecniche riabilitative, sia di tipo muscolo-articolare che psico-cognitivo. Approcci che possono essere proposti ai pazienti insieme alle terapie farmacologiche per consentire loro di ottenere la migliore qualità di vita possibile. Tanto più importanti, se consideriamo che il Parkinson è una malattia lentamente progressiva, che tende a diventare meno gestibile dal punto di vista farmacologico con il passare del tempo. Per questo a pazienti e caregivers vanno offerte linee guida anche sulla gestione della vita quotidiana, e indicazioni utili per evitare comportamenti dannosi alla salute o in contrasto con le cure ricevute.
Ci sono novità nelle strategie e negli approcci riabilitativi utili in questo ambito?
All’ultimo Congresso Mondiale sul Parkinson di Hong Kong sono stati presentati nuovi approcci farmacologici alla malattia di Parkinson, soprattutto per il trattamento della fase avanzata della malattia, che presenta per esempio improvvisi blocchi motori o discinesie provocate dalla levodopa. È emerso anche un diffuso consenso tra i colleghi neurologi sull’efficacia della pratica del Tai Chi nei pazienti colpiti dalla malattia, in particolare per migliorare la coordinazione del movimento e superare alcune problematiche disfunzionali tipiche, come la rigidità, la tendenza a perdere l’equilibrio e a cadere, l’alterazione del ciclo del passo. Una tecnica che stiamo sperimentando anche all’interno della Fondazione Santa Lucia.
Le caratteristiche dei pazienti neurologici rendono necessarie azioni di rete tra ospedali, IRCCS, servizi territoriali. A che punto siamo e qual è lo scenario auspicabile?
Ad oggi ci troviamo in una situazione fortemente critica, che rischia spesso di compromettere l’efficacia e l’efficienza del percorso terapeutico. Chiarisco con un esempio concreto: i reparti di neurologia degli ospedali accolgono dal pronto soccorso persone colpite da ictus, riacutizzazioni di sclerosi multipla o pazienti parkinsoniani con malattie concorrenti, che sono caduti o presentano alterazioni della motricità che richiedono il ricovero. Superata la fase acuta, ci si scontra con la difficoltà di trasferire i pazienti in strutture dove possano ricevere la necessaria neuroriabilitazione. Questo per carenza di posti letto. Così si determina un effetto “tappo”. I pazienti che non possono essere dimessi dal reparto, non ricevono adeguato trattamento neuroriabilitativo e impediscono contemporaneamente l’ingresso di altri pazienti. A questo si aggiunge l’insufficienza dei servizi di assistenza e supporto sociale alle famiglie e la farraginosità delle pratiche amministrative che non di rado comportano dieci o quindici passaggi anche solo per l’acquisizione di una carrozzina. L’assenza d’integrazione tra le diverse unità che devono prendersi cura dei pazienti neurologici va tutta indubbiamente a danno di questi ultimi.
Un anticipo del messaggio che vorrete lanciare con il Convegno?
È senz’altro fondamentale stimolare una presa di coscienza collettiva sul fatto che senza continuità e impegno sul fronte della ricerca, non otterremo mai grandi successi nel trattamento delle malattie neurologiche. Nel nostro Istituto stiamo in particolare studiando fattori di tipo neuroinfiammatorio che influiscono sulla malattia e abbiamo individuato sostanze naturali in grado di modularli e quindi bloccarli. Recentemente abbiamo anche pubblicato sul British Journal of Pharmacology e su altre riviste scientifiche i risultati di studi realizzati per la definizione cellulare dei meccanismi di azione delle terapie farmacologiche che usiamo nella cura dei pazienti.