Il senso del Tatto: frontiera delle Neuroscienze e della Robotica

 Allo studio dispositivi che in futuro potrebbero consentire di diagnosticare con precisione i danni tattili in pazienti neurologici e non solo.

Tra gli studi scientifici dedicati ai sistemi sensoriali, quelli sul tatto hanno storicamente scontato un certo ritardo. Lo si deve al fatto, tra l’altro, che al contrario di quanto avviene per altri sensi, per simulare il tocco e stimolare le sensazioni tattili esistono, ancora oggi, pochi strumenti.

Se infatti un monitor o i sistemi di realtà virtuale sono in grado di riprodurre immagini fedeli alla realtà e un sistema stereo di replicare dei suoni, il tatto virtuale non esiste ancora, ed è uno dei filoni sui quali la ricerca bioingegneristica si sta concentrando, finalmente “a braccetto” con le neuroscienze.

"Una sinergia necessaria: tanto più miglioriamo sotto il profilo ingegneristico per riprodurre gli stimoli tattili, tanto più abbiamo gli strumenti per capire come questo funziona da un punto di vista neuroscientifico. D’altro canto, migliore è la comprensione delle basi neurali del tatto, più siamo in grado di costruire devices robotici migliori”.

A spiegarlo è il Dottor Alessandro Moscatelli, medico ricercatore del Laboratorio di Fisiologia Neuromotoria della Fondazione Santa Lucia, tra gli autori degli articoli W-FYD: a Wearable Fabric-based Display for Haptic Multi-Cue Delivery and Tactile Augmented Reality e Tactile slip and hand displacement: Bending hand motion with tactile illusions appena pubblicati su IEEE Transaction on Haptics e IEEE World Haptics Conference.

Questi e altri lavori sono stati sviluppati in collaborazione con il Dipartimento di Robotica dell'Università di Pisa, evidenziando la necessità del lavoro di squadra: le informazioni sui meccanismi sensoriali relativamente agli stimoli tattili sono infatti essenziali per lo sviluppo di dispositivi robotici, che a loro volta forniscono utili indicazioni sul funzionamento del cervello in presenza di specifici stimoli.

In questo modo, quanto studiato finora ci ha permesso di arrivare ad una concezione innovativa del funzionamento del tatto – spiega Moscatelli – e cioè che esso è intrinsecamente multisensoriale”.

Il confronto con altri sensi chiarisce bene cosa intende: “Il sistema visivo per esempio si basa sulla variazione di luminanza dello stimolo, ovvero ad un segnale circoscritto ad una specifica porzione della superficie retinica. Viceversa – prosegue il neuroscienziato - qualunque stimolo tattile coinvolge zone non così localizzate della cute: una delle prime cose che abbiamo imparato dagli esperimenti è infatti che in caso di contatto con la superficie di un oggetto la deformazione meccanica della cute è un fenomeno non-locale (come si vede ad esempio indentando il polpastrello con uno stuzzicadenti: questo produce una deformazione anche distante dal punto di contatto). Inoltre diversi aspetti di questa deformazione cutanea, quali ad esempio vibrazioni, variazioni dell’area di contatto o stiramento, contribuiscono a definire lo stimolo tattile”.

Questo significa che differenti tipi di stimolo forniscono diverse informazioni al sistema nervoso e insieme concorrono a farci capire il nostro rapporto con l’oggetto.

“Le vibrazioni, per esempio, sono uno stimolo importante per il nostro sistema nervoso. In un esperimento pubblicato su Journal of Neurophysiology abbiamo perturbato le naturali vibrazioni che si producono al contatto con una superficie liscia o ruvida, e abbiamo potuto verificare che la velocità di movimento percepita dai soggetti coinvolti cambia in base all’ampiezza e la frequenza delle vibrazioni create ‘artificialmente’. È la conferma che informazioni sensoriali che possono sembrare rumore, in realtà vengono utilizzate da una specifica area del cervello per capire, in questo caso, la velocità di movimento” – chiarisce il ricercatore della Fondazione Santa Lucia.  

Se quindi la visione tradizionale del tatto attribuisce a questo senso la facoltà di registrare il contatto con gli oggetti, demandando ai recettori muscolo-scheletrici la percezione del movimento della mano, gli studi condotti attraverso dei device costruiti ad hoc mostrano che esso concorre a questa percezione.

“In un altro studio pubblicato su Current Biology abbiamo dimostrato questo attraverso una ‘simulatore di sofficità’ - spiega Moscatelli - appositamente realizzato dai colleghi di Pisa. Il nostro cervello si basa essenzialmente su assunzioni, tra le quali, per esempio, il fatto che le caratteristiche di un oggetto quali la sofficità restino costanti. Se queste variano in modo inatteso, l’informazione che registriamo è di movimento rispetto all’oggetto. E infatti, simulando attraverso il device un cambiamento nella sofficità di una superficie e aumentando di conseguenza l’area di contatto con questa, gli esperimenti mostrano che il soggetto pensa di essersi mosso”.

Gli studi seguenti si sono concentrati sullo sviluppo di un simulatore di sofficità più piccolo e indossabile che potrà essere utilizzato in futuro per test clinici su pazienti che riportano deficit del tatto seguenti a diversi tipi di patologia. Fino alla possibilità di ricostruire, tra alcuni anni, un tatto virtuale.

Quali possibilità sul piano clinico? I maggiori risultati provenienti da questo tipo di ricerca sono attesi sul fronte diagnostico: “Se si ha un deficit relativo al tatto, al contrario di come avviene per la vista o l’udito, gli strumenti a disposizione sono ancora pochi e non tengono in considerazione i suoi aspetti multisensoriali.  La prima applicazione che immaginiamo per i dispositivi che stiamo studiando, quindi, è quella utile alla caratterizzazione quantitativa, cioè numerica, del danno tattile in alcuni tipi di pazienti, come per esempio quelli colpiti da ischemia e sclerosi multipla, ma anche affetti da patologie metaboliche come il diabete”.