Malattia di Alzheimer: nelle oscillazioni gamma un nuovo biomarcatore per predire la progressione della malattia

Nella riduzione delle onde ad alta frequenza prodotte dal cervello, fondamentali per le funzioni mnesiche, un possibile biomarcatore per predire il decorso della malattia e, potenzialmente, intervenire con la stimolazione cognitiva o la Stimolazione Magnetica Transcranica

La malattia di Alzheimer è la più comune forma di demenza con circa un milione di casi in Italia. Questa malattia comporta una progressiva compromissione della memoria e delle altre funzioni cognitive che compromette gravemente la qualità di vita delle persone affette da questa malattia.

Attualmente non esiste una cura per questa patologia ma sono in fase di sviluppo numerosi farmaci e trattamenti non farmacologici che se utilizzati a partire dallo stadio iniziale di malattia potrebbero rallentarne il decorso. Per tale motivo, attualmente, la ricerca si sta focalizzando sulla presenza di precoci “segnali” cerebrali, chiamati biomarcatori, che possano “rivelare” le anomalie legate alla malattia di Alzheimer.

Modelli sperimentali di malattia di Alzheimer hanno mostrato che questa patologia danneggia precocemente delle centraline cerebrali che servono a generare delle onde ad alta frequenza (oscillazioni gamma). Tale attività cerebrale è considerata fondamentale per la genesi ed il consolidamento delle memorie. Inoltre, questa alterazione è considerata un possibile target terapeutico e sono in corso studi clinici volti a riattivare questa attività gamma mediante metodiche di stimolazione cerebrale non invasiva.

Partendo da questo spunto un recente studio della Fondazione Santa Lucia IRCCS condotto dal gruppo di ricerca del neurologo Prof. Giacomo Koch in collaborazione con l’Università di Ferrara, pubblicato sulla prestigiosa rivista Annals of Neurology, ha utilizzato un approccio innovativo per individuare la presenza di tali anomalie su un gruppo di 60 pazienti affetti da malattia di Alzheimer allo stadio iniziale.

Questo approccio consiste nella combinazione di due tecniche, la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e l’elettroencefalogramma (EEG). Tramite queste tecniche è possibile “stimolare” in modo non-invasivo delle specifiche aree cerebrali coinvolte nella malattia e registrarne la “risposta” fisiologica attraverso l’EEG. Utilizzando dunque questa avanzata tecnologia, gli scienziati hanno scoperto che il cervello dei pazienti Alzheimer è caratterizzato da un basso livello delle oscillazioni EEG nella banda gamma (40 Hz). Tale fenomeno è evidenziabile in particolare stimolando la corteccia prefrontale, una regione implicata nei processi cognitivi legati alla memoria. Inoltre, gli scienziati hanno anche dimostrato che il livello di attività gamma misurato all’esordio dei sintomi è altamente predittivo della progressione clinica della malattia Alzheimer. Nello specifico, i pazienti che avevano un livello più alto di attività gamma erano quelli che avevano un minore deterioramento delle funzioni cognitive e delle abilità funzionali dopo 6 mesi.

Secondo il Dott. Elias Casula, primo autore dello studio, “Questo risultato ha una grande rilevanza clinica perché potrebbe aprire la via all’utilizzo di un nuovo biomarcatore neurofisiologico basato sulla misurazione e la quantificazione della attività gamma nel lobo frontale in grado di prevedere il decorso della malattia di Alzheimer”. Inoltre, questa ricerca fornisce nuove evidenze a supporto di prospettive terapeutiche a cui sta lavorando presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS il gruppo del Prof. Koch, che mira ad aprire una nuova strada per il rallentamento del decorso della malattia di Alzheimer attraverso la stimolazione non-invasiva di aree cerebrali al fine di aumentare l’attività gamma del cervello.