Parkinson: vent'anni fa partivano gli studi sulle cause genetiche della malattia

L’intervista con Enza Maria Valente, Responsabile del Laboratorio di Neurogenetica della Fondazione Santa Lucia IRCCS

Esattamente vent’anni fa ricercatori giapponesi della Juntendo University e della Keio University individuavano “Parkin”, gene che insieme all’alfa-sinucleina scoperta solo un anno prima, nel 1997, avrebbe rivoluzionato la ricerca delle cause della Malattia di Parkinson. Per festeggiare l’anniversario, la Società Giapponese di Neuroscienze ha organizzato lo scorso 29 luglio a Kobe un Simposio Internazionale che ha raccolto esperti da tutto il mondo non solo per ricordare il passato, ma soprattutto per fare il punto sui fattori genetici oggi noti come cause della patologia e le strategie di ricerca da perseguire negli anni futuri. Tra i relatori anche la professoressa Enza Maria Valente, Responsabile del Laboratorio di Neurogenetica nell'ambito della Linea di Ricerca Neuroscienze Sperimentali dell’IRCCS Santa Lucia, che insieme all'Institute of Neurology University College of London riuscì a individuare nel 2004 un terzo gene (PINK1) coinvolto nei processi neurodegenerativi del Parkinson.

Professoressa Valente, perché la scoperta di “Parkin” fu così importante?

Fino ad allora il pensiero dominante era che la Malattia di Parkinson avesse cause ambientali. Si attribuiva in particolare una grande responsabilità all’uso di pesticidi. La scoperta dell’alfa-sinucleina e di “Parkin” ci aprì gli occhi sui meccanismi genetici che sono alla base della malattia. È vero che le mutazioni genetiche studiate sono la causa diretta solo di forme di Parkinson ereditarie, che rappresentano in sé una minima parte di tutti i casi, ma questi stessi meccanismi genetici patologici si ritrovano in tutte le forme della malattia. Da qui l’importanza della scoperta che ha ispirato il nostro stesso gruppo di ricerca nell’individuazione pochi anni più tardi del gene PINK1.

Oggi cosa sappiamo più di allora?

Iniziamo a conoscere alcuni importanti fattori che provocano la morte dei neuroni. Sono meccanismi che interessano peraltro anche altre malattie neurodegenerative come la Sclerosi Laterale Amiotrofica e la Malattia di Alzheimer. Sappiamo per esempio che tra le cause della morte neuronale c’è il danno dei mitocondri. Sono organelli cellulari chiamati a produrre energia per le cellule. Se danneggiati, però, creano radicali liberi e stress ossidativo, promuovendo la morte neuronale. Altro fattore patologico importante, che abbiamo nel frattempo individuato, è il mancato funzionamento dei “sistemi di pulizia delle cellule” che servono a eliminare dai neuroni sostanze tossiche o parti danneggiate. I neuroni non sono cellule che si replicano. Se quindi il loro sistema di pulizia non funziona, raggiungono un punto di non ritorno che ne provoca la perdita definitiva. È il caso per esempio dell’accumulo di alfa-sinucleina che tende a precipitare e ad acquisire conformazioni anomale provocando molti danni.

Resta però ancora valida l’ipotesi dei fattori ambientali?

Resta valida, anche se ne sappiamo ancora molto poco. Ovviamente non si tratta solo di cause ambientali in senso stretto. Parliamo più in generale di fattori epigenetici, che possono comprendere per esempio processi di neuroinfiammazione provocati da caratteristiche peculiari del sistema immunitario di un soggetto. Tranne i casi più rari di origine genetica ereditaria, le cause del Parkinson sono multifattoriali.

Se alla base della malattia ci sono specifiche modificazioni genetiche, possono in futuro gli screening portare a diagnosi più precoci?

Screening genetici eseguiti a tappeto sulla popolazione sospettata di Parkinson non avrebbero senso perché le forme genetiche sono molto rare. Però già oggi studiamo i famigliari dei soggetti colpiti da queste rare forme genetiche con la prospettiva d’identificare soggetti a rischio di sviluppare la malattia. L’obiettivo finale è lo sviluppo di farmaci neuroprotettivi che possano rallentare o bloccare i meccanismi della morte neuronale prima che il quadro clinico sia conclamato. Oggi la ricerca sta lavorando molto sul tema della neuroprotezione così come sull’individuazione di possibili marcatori della malattia nel sangue, nel siero, nel liquor, o anche marcatori di neuroimmagini capaci d’individuare in forma precoce segni di neurodegenerazione.