Uno studio realizzato presso il Santa Lucia IRCCS di Roma ha correlato la risposta all’interferone di tipo I, proteina che regola la risposta immunitaria, con l’andamento della SLA e ha applicato i risultati al trattamento di modelli sperimentali. I risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista Brain.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una grave patologia neurodegenerativa che colpisce i neuroni deputati al movimento, portando progressivamente a paralisi e, nella maggior parte dei casi, al decesso. In Italia riguarda oltre 6.000 pazienti e rappresenta una delle sfide più complesse per la ricerca neuroscientifica contemporanea.
Un nuovo studio, realizzato presso il Laboratorio di Biologia della Neurodegenerazione della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e guidato dalla dott.ssa Valeria Gerbino, in collaborazione con l’ Università di Aberdeen in Inghilterra e la Columbia University di New York, ha individuato un possibile meccanismo chiave nella progressione della SLA, legato alla risposta dell’organismo all’interferone di tipo I: una proteina del gruppo delle citochine che regola l’attivazione del sistema immunitario.
I ricercatori hanno eseguito un’analisi trascrittomica e immunoistochimica su campioni di tessuto provenienti da 36 pazienti deceduti per diverse forme di SLA: SLA sporadica (senza base genetica nota), C9-SLA (dovuta a mutazioni del gene C9Orf72) e SOD1-SLA (causata da mutazione del gene SOD1). I risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti da 12 soggetti di controllo privi di patologie neurologiche.
“Le evidenze che abbiano ottenuto” spiega la dott.ssa Gerbino “hanno dimostrato una chiara correlazione tra i geni stimolati dall’interferone e la progressione della malattia. Nei campioni in cui l’attività dell’interferone di tipo I è maggiore, il decorso della SLA risulta più rapido”.
Sulla base di questi dati, il team ha condotto ulteriori test su un modello animale di SLA, sperimentando l’uso di farmaci che diminuiscono l’azione dell’interferone di tipo I. I risultati hanno mostrato un rallentamento modesto ma significativo del declino motorio e prolungato la sopravvivenza nel modello animale, aprendo quindi nuove interessanti prospettive terapeutiche.
“Questi primissimi risultati sul modello animale sono incoraggianti” prosegue la dott.ssa Gerbino “perché mostrano una strada per una possibile terapia coadiuvante. Per il passaggio all’uomo sono però necessari ulteriori studi: il risultato di questa ricerca è stato di dimostrare la correlazione tra alti livelli di attivazione della riposta mediata dall’interferone di tipo I e l’aggressività della malattia sia in pazienti che in modelli animali. Studi ulteriori dovranno dimostrare la tassabilità’ sull’uomo”.
Lo studio ha inoltre evidenziato che diverse varianti genetiche della SLA determinano risposte differenti all’interferone di tipo I. Questa scoperta sottolinea l’importanza di una caratterizzazione genetica personalizzata della malattia, aprendo la strada a strategie di medicina di precisione per i pazienti colpiti da SLA.
